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To the moon is often Iceland compared. And rightly so.

"Walking back from your house, walking on the moon…" sang The Police, back in 1979.

Walking and the moon have often been together, as being carried away by happiness, immersed in deep thoughts, living life at its fullness, inebriated with joy. 
It's more than in seventh heaven, it's on the moon. 
The moon is also a distance to measure a very big love: I love you to the moon and back. 



The moon can also be seen as a loyal companion to share your hopes and desperation alike. What are you doing, big moon, in the sky, tell me what are you doing there. 
The ever-changing moon, with rhythms and phases who shape and arrange life, like notes harmonized in symphony.


To the moon is often Iceland compared. And rightly so.

Not only for the rugged terrain, the deep fissures, the powerful insides finding ways to get outside. 


Not just for the windswept hopeless loneliness of the coasts: fjords and cliffs and beaches of stunning beauty and hostile inaccessibility.



Not even only for the out-of-this-world colors, greens and black embracing themselves, with reddish ochres and all shades of blues and greys looming around. 





Neither for the ever-changing landscape in which the history of earth is inscribed, nor for the un-expected welcoming and relished hot springs.



Iceland is also compared to the moon because of the distance, so huge and un-measurable, from everything we are used to. Iceland is different, and sets new standards.
Once you've seen any Icelandic waterfall, no other waterfall in the world will ever stand the comparison. By sheer beauty, power, energy, remoteness.



Once you danced to the northern lights, your breath fast and cold, and tears falling and freezing on your cheeks, silence so thick you can hear your blood in turmoil, you'll feel like having been to the moon and back.
Once you travelled in no hurry on Iceland roads, forded their many streams and rivers, and learned to change your point of view with every bend, then you are likely to reach Iceland's heart.


In Askja such heart is located for me, but you'll find your own secret place, and you'll bow in awe in the presence of Eros and Thanatos, you'll feel life and death always together, love and hate, lust and absence, fear and desire, all forever intertwined, the bright and the dark side, and you'll be over the moon with joy, amazement and respect.



That's why to the moon is Iceland often compared. And rightly so.

Save the best for last

Sono rimaste le quattro case preferite.
Sono state visite molto gradevoli e case che con diverse intensità mi hanno conquistata.


In una finalmente il motivo della vendita è creativo, fa parte di un progetto, non è una resa. È una casa dove tutto racconta di entusiasmi,  idee, iniziative, anche un po' folli. Il garage e il casotto ospitano una impressionante serie di "giocattoli": kayak,  bici,  mazze da golf, strumenti per il fai-da-te. Anche la casa trabocca di libri e di album musicali. Questa  coppia pensa che sia giunto il momento per loro di raccogliere i frutti di tanto lavoro e tanto impegno e godersi la vita. L'unica figlia è in Australia, iperattiva come i genitori, che adesso vogliono viaggiare, vedere il mondo, comprarsi un camper e andare in giro.
La vita in questa casa è stata frenetica e impegnata, entrambi hanno lavorato coi turisti, e sono stati coinvolti in tante attività comunitarie. Qui c'è un gruppo per ogni cosa, dalla danza al ricamo alla meditazione, e se non c'è,  si crea. Solo, mi informa la mia gentile ospite mentre beviamo il caffè,  è meglio se non mi faccio troppe illusioni di trovare l'amore: non ci sono uomini soli.
Questa casa ha una bella energia, è vivace, sprizza gioia di vivere.

In un'altra casa la proprietaria è una signora con giusto qualche anno più di me, sola, con un figlio che ha preso la sua strada, è un'insegnante in pensione, e vuole fare downgrading: la casa troppo grande e impegnativa, il giardino che non cura perché non le interessa tanto, gli spazi che restano vuoti, la porta principale che non usa mai, la bellezza che consola ma sempre meno.
Mi dice che a volte passa ore a guardare fuori dalla finestra.  Ma non basta più, si vede. Mi colpisce la sua storia perché è un po'  il contrario della mia, io spero di avere più spazio più tempo più interessi. Voglio (spero,  desidero, vagheggio) fare un upgrade. 
La casa è come se sentisse questa desolazione e la rispecchiasse. È mogia, dimessa, un po' umida perché non vi arde il fuoco della vita. Ed è un peccato, è una casa che avrebbe ancora molto da offrire, a chi volesse prendersi la briga di ridarle scopo, entusiasmo,  motivazione, a chi decidesse di farla rifiorire.  Quanto a me, rischia di essere un compito superiore alle mie forze, e se mi sono sentita empaticamente molto vicina alla proprietaria, la casa m'ha mandato segnali che direi inequivoci: dalle ampie finestre, nonostante la vista spettacolare, il mio sguardo continuava a cadere sul palo della luce e soprattutto non sono riuscita a trovarla, proprio la sua strada non la vedevo, ho dovuto chiedere e alla fine farmi accompagnare. 
E mentre la cercavo ne ho vista un'altra, per cui avevo l'appuntamento più tardi, che mi ha conquistata.

Questa non è perfetta, nulla lo è,  non una casa, non un uomo non un lavoro. Sono sempre necessari dei compromessi, cose cui si rinuncia a favore di altre che si decidono più importanti. Cose che si accettano, cose che fanno la differenza. Secondo una scala di valore personalissima.
Non è perfetta ma mi ha conquistata, con la sua splendida cucina in cui già m'immagino a fare torte, con il mare vicino vicino e un giardino favoloso, così grande da poterci fare una vera passeggiata dopo cena, da allevarci i polli, da coltivare le verdure. Che io non sappia nulla di giardinaggio, di allevamento e di orticoltura è del tutto secondario.
Questa casa mi ha chiamato, e ha già iniziato a svelarmi i suoi segreti. Mi ha dato energia e attivato l'immaginazione. Mentre la guardavo già vedevo come la vorrei cambiare per renderla mia.
Questa casa è davvero una promessa, di una vita diversa, di un altro modo.  Quando sono tornata a vederla prima di partire, assenti i proprietari,  ho fatto amicizia con la vicina di casa, che sapeva di me e stava andando a fare la lavatrice li,  essendo la sua rotta.  E di nuovo ho incrociato questo incredibile senso di comunità dove tutti ci sono per tutti, ma senza diventare mai invadenti.

Conquistata quindi da questa casa, ma penso spesso anche ad un'altra. Che ha una storia più triste, la padrona vuole lasciarla perché ora è vedova, la casa è troppa e ci sono troppi ricordi, ovunque. Se vuole andare avanti deve andare via. E questo è uno spirito sano, giusto. La casa è stata chiaramente il luogo di un grande affiatamento, ogni dettaglio testimonia amore e prendersi cura. Io credo che una casa che ha un vissuto di amore continui a darne.
Questa inoltre permetterebbe un progetto di vita davvero ampio, perché c'è anche lo spazio per un'attività.
Inoltre ha la vista più bella di tutte, da incantarsi proprio.

Queste le case e le loro storie, e intrecciate con loro, la mia. 
La storia di un sogno, 
Che probabilmente resterà tale.
(The End)



Altre case, altre storie

Una in realtà è un'assenza di storia. O una storia di assenze.
È una casa in cima a una lunga salita - e il giorno dopo chiacchierando casualmente vengo a sapere che queste salite d'inverno, con le strade ghiacciate, non sono sempre praticabili, e chi abita lassù deve lasciare l'auto all'inizio della strada e proseguire a piedi.
C'è una bella vista, molto aperta, ma il mare è lontanissimo, si confonde con l'orizzonte, con le nuvole, si perde nella nebbia, è assente.

La casa è nuova e bellissima, con tanto legno, nelle porte, negli infissi, nelle scale, e fatta a regola d'arte, gli accessi  delle misure giuste, i rilevatori di fumo, i bagni ovunque. Apparentemente non manca nulla. Invece manca la storia, manca il vissuto. Questa casa è sempre stata data in affitto settimanale, ha visto solo occupanti fugaci e occasionali, non ci sono foto incorniciate né giocattoli dimenticati, non c'è traccia di gioie o dolori, non ci sono indizi, se sia stata abitata da qualcuno che amava la musica,  o leggere o dipingere o il bricolage.
È una casa muta, e da qui non si sente il mare.
Non è quello che sto cercando.
Via, a vederne altre.

Quest'altra già lo sapevo che non mi sarebbe piaciuta, l'ho vista solo a scopo di documentazione. È bella, nuova, si vede la mano dell'architetto, ha una vista bellissima, è particolare perché è upside down (boy, you turn me), nel senso che le stanze sono a piano terra e la zona living è al primo piano. Certo è bello guardare il mare dal divano, sorseggiando un drink con gli amici, ma così la stanza principale affaccia sul posto auto, e si perde un po' di poesia. Questa casa mi racconta una storia un po' snob, i proprietari forse erano stati attirati dal locale campo di golf ma probabilmente a lungo andare si sono un po' stancati, nonostante i viaggi - la casa racconta di molti viaggi, ed esotici - e gli amici - è una casa accogliente, con un grande tavolo per cene in compagnia. Anche il giardino è tutto aiuoline e sentierini e panchine per godersi la vista. Neppure un capanno per gli attrezzi, neanche una zolla per coltivare i pomodori.
E' comprensibile, che si siano stancati, questo non è un posto snob, non è un posto da ostentazione, e neanche da sfoggio, nonostante il golf e gli hotel con le stanze di lusso con la vista.
Questo è un posto per chi ama la natura e i silenzi, per chi si incanta a seguire l'avanzare della marea, per chi passa ore a guardare le evoluzioni dei gabbiani o dei delfini, o i giochi delle inattese lontre.
Per chi non finisce mai di stupirsi davanti a un tramonto sempre diverso. E' il luogo ideale per dedicarsi al giardinaggio, o alle lunghe letture nei giorni di pioggia.
Non si può cambiare radicalmente l'anima di una casa.
Questa non fa per me.
Via, a vederne altre.

Questa altra casa è bellissima, grande, con un sacco di stanze e bagni, da poterci ospitare tutti gli amici in visita, anche tutti insieme. Con un giardino splendido: la proprietaria ha lavorato in un grande giardino botanico, è una che sa il fatto suo e ha portato qui, disponendole con cura e gusto, piante particolari, inconsuete, singolari. C'è persino la serra e nel capanno un bancone per lavorare su semi, bulbi e innesti, come una sorta di mago Merlino con i guanti verdi. Anche la vista è molto bella, anche se su un punto dove il mare si restringe a causa di un isolotto proprio di fronte. Poco male.


E' una casa che ha visto amore, ne sono testimonianza le stanze delle nipoti con le decorazioni e le lucette e gli oggetti per quando tornano, Ha visto operosità, lavoro e fatica, ma ne custodisce anche le ricompense, come l'auto d'epoca di cui vanno molto fieri. E' piena di centrini e ninnoli. Coi proprietari abbiamo scoperto di essere stati in vacanza nello stesso cottage a distanza di poche settimane. Che non prova tanto che il mondo è piccolo, quanto che abbiamo gusti simili (e che io vado da quelle parti abbastanza spesso). 
Anche loro la devono lasciare perché è fuori dal mondo, è una storia, questa, che si ripete davvero spesso: figli lontani, emergenze mediche, e l'essere remoto che è stato così bello in una certa fase della vita, che l'ha contraddistinta, ne è stato la caratteristica che ha plasmato tutte le altre, a un tratto diventa non più sostenibile. Prima garantiva tranquillità, rifugio, protezione, ora invece fa paura, è diventato ostile.
E questo spaventa e trattiene anche me. A malincuore, ma la mia ricerca di remoto, di distanze, di lontananza deve venire a patti con la realtà.
Mi dispiace, ma non è la mia.
Via, a vederne altre.

Studio di fattibilità

Di recente sono andata a vedere case. 
Non so se ho un progetto, un sogno o un’illusione, o solo tempo da impiegare, ma intanto sono andata.
Un pullman, un aereo, 350 Km in auto, una sosta per la notte a metà strada (e lo stesso al ritorno, ma senza la sosta e con un inatteso passaggio al posto del pullman) per vedere 11 case in due giorni.
Intenso.
Da tutti i punti di vista. Perché vedere case non è solo vedere case. Qui non sono gli agenti immobiliari ad accompagnarti, ma sono i padroni che ti accolgono così vedere case diventa entrare nella vita delle persone, ascoltarne le storie, vederne le tracce negli oggetti, nelle presenze e nelle assenze. Accanto alla storia di chi cerca una casa per innamorarsene e viverci un pezzo di vita, c’è quella di chi quella stessa casa la vuole lasciare, per seguire il suo sogno o per allontanarsi da ricordi pesanti o mille altre ragioni.
Storie. Vedere case è come leggere un libro o vedere un film.
Le mie 11 case sono state tutte particolari, interessanti, e tutte mi hanno raccontato una storia. Io a mia volta ho raccontato la mia e ad ogni racconto, di fronte a una bella vista e con una tazza di tè in mano,  l’ho capita un po’ meglio.
Prima delle storie, prima dell’immaginarsi lì, prima di vedere se la casa ha tutto quello che spero abbia, c’è l’aspetto grottesco: io ho paura dei cani e quindi l’ingresso in ognuna di queste 11 case ha avuto momenti di preoccupazione, imbarazzo, titubanza e infine sollievo. Ero abbastanza ridicola mentre, restia ad abbandonare la sicurezza dell’auto e attenta agli indizi - ciotole ad esempio – cercavo di attirare l’attenzione del proprietario e ottenerne rassicurazione. Nessuna muta di dobermann ad attendermi sul vialetto d’ingresso, comunque.
La prima casa che vedo è bella perché è la prima. Sono davvero qui, a vedere una casa, che forse, magari, un giorno potrebbe diventare mia. E non è solo la casa, è il desiderio di una vita diversa, molto diversa, in una fase della vita in cui molti rinunciano al cambiamento, tirano i remi in barca e consolidano ciò che hanno. Io invece immagino nuove rotte e nuove navigazioni.

Il progetto (o sogno, o illusione) è ampio e vago, la casa invece deve avere alcuni punti fermi: essere indipendente, avere la vista sul mare, il giardino e la porta sul retro. Queste sono le caratteristiche irrinunciabili, tutto il resto è negoziabile.
Ma torniamo alle storie.
Una è una storia di abbandoni. Questa casa affaccia su una lunga spiaggia bellissima, di sabbia dorata; la presidia dall’alto, ne vede le maree e i cambi di luce, ascolta il rumore delle onde e delle tempeste, da una posizione sicura, apparentemente, ma cosa ne saprò mai io, cittadina così poco abituata ai ritmi e alle forze della natura?

E’ una casa dei primi anni del secolo scorso. E’ stata abitata e immagino la fatica e le difficoltà di quando questo era un posto davvero remoto (lo è anche oggi), freddo, inospitale, battuto dal vento. Ma immagino anche le risate dei bimbi che corrono sulla spiaggia e giocano con le onde. Poi questi bimbi sono cresciuti e sono andati a cercare la loro strada altrove, i vecchi se ne sono andati anche loro, la casa ha subito qualcosa, un incendio o chissachè, per un po’ è stata seguita, è stata data in affitto a turisti incantati dalla vista ma è stata a poco a poco abbandonata. 
I segni dell'incuria sono ovunque, negli infissi cadenti, nelle crepe nei muri, nel linoleum che si alza per l’umidità. 
Ora spera che qualcuno si innamori di lei, ne curi le numerose ferite e le dia una nuova vita. Chi mi accompagna - non il proprietario lontano, ma chi se ne prende cura, per quanto possibile - ha fatto la scelta opposta, dopo aver studiato veterinaria in città è tornata qui, dove ha radici e storia e la voglia di continuare a farle crescere ed è davvero amareggiata a vedere questa rovina.



Contempliamo questa bellezza, ci rattristiamo per quanto è perduto e, immaginando nuovi scenari, io riprendo la stradina per la prossima visita.
Questa casa ha invece una storia che non mi convince, forse non è del tutto vera o forse non si adatta bene alle mie aspettative, forse non è tutta la storia, ma insomma non mi torna. E’ in un posto molto remoto, ci si arriva dopo diversi chilometri di nulla, sulla via che porta a un faro, per intenderci, affacciata sul mare ma protetta dal fianco della collina. La abita una giovane coppia, vivaci, esuberanti, affiatati. E’ molto bella e accogliente, curata, parla di amore e condivisione. 
Ma non è finita; le stanze al piano di sopra sono vuote, il bagno in costruzione. Eppure i padroni di casa mi dicono che la vogliono vendere per affrontare una nuova sfida, per cominciare un nuovo progetto, per avere nuovi stimoli. Ma come, questa neppure è finita! Perché abbandonarla così? Perché cancellare tanta cura e tanta attenzione? Perché  tanto entusiasmo ma anche tanta voglia di andarsene? Queste domande sono rimaste senza risposta, non sarebbe stato educato chiedere di più. Come un libro col finale aperto, e tutte le ipotesi possibili.

Un’altra ancora mi ha fatto tanta tenerezza, e anche malinconia.

E’ la casa di due persone anziane. Una casa molto amata, molto curata, che parla di una vita insieme, di figli e nipoti, di giardinaggio e crostate e Natale come occasione per ritrovarsi tutti. Una casa che di sicuro ha molto da raccontare e molte cose belle. Ma adesso non possono più continuare a vivere lì. Sono lontani da tutti, dalla famiglia, dall’ospedale, e entrambi hanno già dovuto essere ricoverati, di recente. Devono avvicinarsi, devono essere protetti, e per fare questo devono lasciare la casa di una vita e tutti i suoi ricordi.

Camminare sull'acqua

Senza troppo informarmi prima, se non per le cose pratiche, senza troppe aspettative ma con il timore, anzi, della ressa, d'impulso ho deciso di andare a vedere i Floating Piers di Christo sul Lago d'Iseo.
Ho trovato una socia nella scelta, un po' bislacca, di partire ben prima dell'alba per andare a vederla dalla passerella. Non ci è stato possibile: non era vero infatti che il percorso è aperto 24h, non lo è stato, almeno, ieri, 19 giugno.
E per fortuna che ero in compagnia, da sola forse non mi sarei forzata alla partenza alle 3:30 del mattino e probabilmente non avrei retto al disappunto di dover aspettare 2,5 ore in coda, per aspettare l'apertura alle 8:00. La ressa per me è un deterrente grande, tra becerumi, furberie, fumo. schiamazzi e scompostezze varie. Però mentre si aspetta a volte si fanno anche chiacchiere gradevoli, sono queste da valorizzare.
Ma se non avessi seguito l'impulso sarebbe stato un peccato.
L'opera per me è bella ed è un'esperienza che sono contenta di aver fatto.
Come tutte le cose che hanno un valore, ha diversi livelli.
Uno sensoriale, fisico: il leggero dondolio mentre si cammina, la brezza, i suoni, tra i quali con un po' di pazienza si riesce ad isolare quelli della natura, gli uccelli, gli insetti, il vento, l'acqua (https://www.youtube.com/watch?v=VT4x02zerD0); e il colore, questo arancione così acceso e così perfetto, che non si può non vedere, che guida lo sguardo, che è una sorta di sigillo: io, l'artista, ho fatto questo, per te.


Per darti l'occasione di vedere un luogo come non l'avevi mai visto, di arrivarci camminando, dove il cammino è negato, per guidarti, passo passo, letteralmente, a questa scoperta.



Un altro livello, infatti, è che questa è un'opera da vivere, da sperimentare, da calpestare, da camminare: il fruitore è invitato ad entrarci e a farne parte.












La partecipazione, la condivisione dell'opera e dell'esperienza con altri è il livello per me più inatteso: quella folla che mi stava allontanando è la stessa che meglio rappresenta l'aspetto simbolico: è solo guardando gli altri che davvero il "camminare sulle acque" acquista un senso.

E infine, non meno importante, il livello dell'intellettualizzazione, quando ci ripensi e cerchi il senso e dai il senso all'idea, all'opera, all'esperienza. E ne apprezzi la realizzazione, la visione, il progetto. Apprezzi anche che sia a tempo e per tutti: è un'occasione, uno sguardo, una suggestione, un momento che porti con te. Non è permanente, ma va a costituire, e un po' anche a costruire, il vissuto di chi decida di aggiungerci questa esperienza.

Ho letto alcune critiche, soprattutto che andare per andare conta poco. Ed è vero, questo è il limite, spesso, delle esperienze di massa, che si auto-alimentano e si riducono a consumo, che si bruciano nella spunta del "fatto", "io c'ero". Ecco, se i critici invece che stigmatizzare invitassero a cogliere i tanti livelli forse il consumo si arricchirebbe di senso, e sarebbe un valore aggiunto.

Altre critiche riguardano la necessità di inserire questa opera nel contesto del lago e dei suoi luoghi e delle sue ricchezze, artistiche e di costume, ma questo secondo me riguarda più la pro-loco che l'idea artistica.
Credo che a questo proposito si possa parlare di occasione un po' sprecata: tanto clamore, tanta curiosità, tanta attenzione, tanto successo potevano essere raccolti meglio; magari accadrà nei prossimi giorni ma la mia sensazione ieri è stata di affanno, di inadeguatezza, di timore.
Come quando fai una cosa ma non ci credi fino in fondo, e quindi resti un po' in mezzo al guardo. Peccato, perché Christo le passerelle le ha messe, per completare la traversata.


Primo Giorno

E finalmente si parte, dopo colazione e due chiacchiere - e già mi rendo conto che questa cosa che sto per fare è un bell’argomento di conversazione. 
Poco più di 100 miglia mi separano dalla mia esperienza.

Ma intanto mi godo la gita attraverso gli Scottish Borders prima – sulla A702, attraverso la Clyde Valley, belli, rilassanti, verdi, senza traffico, di farm e paesini e pochi rilievi modesti – e il Dumfries & Galloway, attraversando il Galloway Forest Park. Mi colpiscono il rigoglio della vegetazione, alberi, fiori di tutti i colori e siepi, prati verdi sconfinati, ma anche le vallate profonde e inattese. 




Attraverso paesini deliziosi e noto che abbondano gli studi di pittura, di ceramiche, di arte varia. Incrocio anche tante auto d’epoca, bellissime, dirette certamente a qualche raduno.

Mentre entro in Wigtown alla radio passa “Homeward bound” di Simon & Garfunkel (mia prima grande passione musicale). Non posso non pensare che sia di ottimo auspicio, e in fondo un po’ mi sento diretta a casa.





Arrivo accanto alla libreria senza neanche cercarla, è lì, mi sta aspettando. Sono un po’ emozionata.
Entro e mi accoglie George, un volontario del Festival. Cominciano i sorrisi. Mi fa vedere la libreria, piccolina ma deliziosa, scaffali alti pieni di libri usati, divisi per settori, narrativa, storia, natura, giardinaggio, cucina, interesse locale, bimbi e giovani adulti; mi spiega come funziona la contabilità: un registro su cui annotare il genere di libro venduto e il prezzo, la cassettina degli incassi e la lavagna da esterno, per invogliare i clienti ad entrare; si premura di precisare che quando piove, però, non funziona.

Wigtown è la città scozzese del libro, conta 900 abitanti e una ventina di librerie, tra cui la più grande, e bellissima, libreria di libri usati di Scozia. Alcune sono anche sale da te, tavole calde, negozi di varia oggettistica. Praticamente quasi tutti i negozi a Wigtown vendono anche libri usati. E in  autunno  c’è il Festival del libro. La maggior parte delle attività, qui, ruotano intorno ai libri, e questo ha un discreto richiamo turistico.

Saliamo a vedere l’appartamento, a un paio di metri di distanza dall’ingresso della libreria, il percorso casa-lavoro più breve che si possa immaginare. E’ grande e delizioso, con le finestre a bovindo della sala che affacciano sulla via principale, e arredato con gusto e calore. Sento che starò molto bene in questo ambiente così accogliente.

Poi George mi consegna le chiavi e mi saluta. Ora la libreria è tutta mia. Non vedo l’ora di iniziare, sistemo in fretta le mie cose, faccio uno spuntino veloce con dei dolci presi alla Co-op che ho proprio di fronte e poi vado ad aprire.

Posso iniziare a personalizzarla, ci sono la lavagna e il tavolo all’ingresso sui cui iniziare a mettere la mia firma. E inizio a girare per gli scaffali e a guardare i libri, cerco di capire come sono disposti, che libri sono, inizio a prenderli e guardarli, inizio a farli miei.
Dopo un po’ entra il mio primo cliente, cerca White Shark di Peter Benchley; non capisco né autore né titolo, e non ho idea di cosa sia. Cominciamo bene, mi dico. Dopo un po’ di domande e ripetizioni finalmente andiamo a vedere nella fiction ma non c’è. Ma intanto il ghiaccio è rotto, la via è aperta. Qualche giorno dopo verrà in libreria suo figlio (in un paesino è un attimo ricostruire le parentele) e mi darà molta soddisfazione comprando ben due romanzi. Entrerà ancora qualcuno a curiosare, ma il primo giorno non vendo nulla, non mi decido a chiudere ma finisco per capitolare di fronte  alla strada principale che resta deserta.


Penso ai libri usati. Non li ho mai considerati granché, presa dalle novità e dalla perfezione intonsa del libro nuovo, ma adesso che per una settimana li ho toccati, guardati, aperti, spostati, annusati posso dire che il libro usato ha un gran fascino e tanta energia. E mi fa pensare che i libri non sono fatti per fermarsi, ma devono andare, cambiare di mano, scegliersi nuovi lettori.

How to be a Scottish resident

Tutto è cominciato con questo articolo del Guardian https://www.theguardian.com/books/2015/aug/21/tourists-offered-chance-to-run-a-bookshop-on-holiday-wigtown  dedicato alla possibilità di fare una vacanza a gestire una libreria, affittando l’appartamento al piano di sopra, in una cittadina sul mare nel sud della Scozia, nel Dumfries & Galloway, Wigtown.

In realtà tutto era cominciato un bel po’ prima, con un prepotente e incontrollabile ritorno di fiamma del mio originario amore per la Scozia che si era già manifestato in diversi viaggi e viaggetti, perlopiù da sola e spesso affittando cottage, in giro per le Highlands e le Western Isles. Quello del self-catering è il mio modo di immergermi nella realtà locale, di cercare di appartenerle, almeno per un po’ – andando a fare la spesa, chiacchierando lungo la strada, famigliarizzando coi luoghi e con le persone. E’ il mio modo di provare a vivere in un modo diverso da quello cui sono abituata.
Di questa opportunità di gestire una libreria mi ha attirato soprattutto la possibilità di fare ancora più parte della comunità locale, una parte attiva e integrata, partecipe,  anche se solo per una settimana.
Ci ho pensato qualche giorno – da sola, e se poi non riesco, non capisco, e come faccio se mi devo assentare, e se non sono in grado, e sarà sicuro… - e poi ho buttato via tutte le paure e le resistenze e ho prenotato la mia settimana. Era proprio l’inizio, ho potuto scegliere e ho scelto l’inizio di Giugno, mese di luce e fiori e magari anche qualche bella giornata.
Per un po’ mi sono baloccata con questo progetto, difendendolo da chi mi prospettava ostacoli e difficoltà (ma vai a lavorare gratis, ma come fai con la lingua, ma hai mai avuto una libreria, ma hai mai fatto la commerciante).
Poi ho smesso di pensarci, travolta all’improvviso da quello che è stato il dolore più grande della mia vita e il periodo più brutto e pesante e doloroso.
Poi ho ricominciato a pensarci, proprio come ad una tregua in tanto dolore.
Quindi ho prenotato l’aereo e ho iniziato ad organizzarmi.
L’idea era quella di affittare un’auto, andare a Wigtown, fare la mia settimana in libreria e poi regalarmi qualche giorno a zonzo per la Scozia, senza mete e sena programmi.
Questo che segue è il racconto di questa parentesi Scozzese.

Sono partita da Malpensa con Easyjet il giorno prima della finale a Milano di Champions e Malpensa era piena di Spagnoli festanti e anticipanti. A dispetto di tutti gli allarmi e le paure c’era un bel clima gioioso e beneaugurante. Pensando che il ritorno sarà nel cuore della notte, ho prenotato il parcheggio, così tornerò a casa in auto.
Col solito ritardo di Easyjet e l’ora di differenza, sono arrivata a tarda sera. Tra ritiro bagaglio, ritiro auto (Rentalcars, http://www.rentalcars.com/it/, Alamo, perfetta), famigliarizzazione con la stessa e la guida a sinistra al buio sono arrivata davvero tardi al mio b&b, prenotato da casa. Mi sono anche persa sulla stradina che porta al b&b a poche centinaia di metri dall’arrivo ma a mia discolpa era davvero buio pesto. La padrona mi ha accolta in camicia da notte e appena un filo seccata. Il b&b a Nine Mile Burn è bellissimo http://www.peggysleafarm.co.uk/: è una farm in mezzo ai campi coi cavalli, a non più di mezz’ora dall’aeroporto ma già sembra di essere distanti anni luce dalla città, dalla folla, dal turismo. L’ho scelto perché sulla strada che volevo fare per andare a Wigtown, vicino al Pentland Hills National Park e soprattutto per la vicinanza a Penicuik, che proprio di recente ho conosciuto leggendo Irvine Welsh, che lo descrive come un posto dimenticato dalla storia in mezzo alla campagna, isolato e impermeabile a tutto, ma l’unica cosa vera nei suoi romanzi sono i nomi dei posti. Tra la sua descrizione di Edimburgo e gli Scozzesi e l’idea che ne ho io c’è una distanza siderale. Lo leggo come uno scrittore di fantasy.

Ho fatto una sola foto, al mattino, prima di partire e prima di capire che questo  stradino mi avrebbe portata in mezzo ai campi. Mentre ne uscivo in retromarcia ho avuto modo di apprezzare, stupita, la retro-visione reale sul monitor della mia auto, che nelle miglia a venire mi avrebbe dato grandi soddisfazioni. Prima di tutte quella di avere un navigatore eccezionale, di cui non m’ero accorta la sera prima.


Seguendo i tondi rossi

Inis Oirr (o Inisheer in inglese) è un’isola incantevole. 
Nel senso che la più piccola delle Irlandesi Aran Islands, e la più vicina alle scogliere di Moher sulle quali offre una vista invidiabile, esercita davvero una forma d’incantesimo su alcuni visitatori, e certamente l’ha fatto su di me.

Sono scesa dal traghetto, dopo una traversata di circa mezz’ora da Doolin, e ho sentito subito di essere arrivata a casa, ho sentito un senso di appartenenza e che l’isola, anche, apparteneva a me. Come si spiega altrimenti che già dopo poco non vedevo l’ora che l’ultimo traghetto salpasse verso Doolin, o verso Rossaveal, così che finalmente l’isola, libera dai turisti giornalieri, fosse solo nostra, solo mia.


 


Questo era il momento che apprezzavo di più: dopo cena, quando il sole stava per tramontare su Inis Meain, e si poteva quasi toccare la quiete nell’aria. 
La prima sera, con un cielo blu profondo illuminato dalla luna, dopo un acquazzone breve ma intenso, ho scoperto una piccola spiaggia nascosta, che è immediatamente diventata la “mia” spiaggia. E ho passato dei bei momenti là, a pensare e ad ascoltare il suono rasserenante dell’oceano.
Sull’isola la gente ti saluta sempre, se hai solo un istante di esitazione in mezzo alla strada c’è sempre chi si ferma e ti chiede se serve qualcosa, due chiacchiere si fanno con chiunque, in ogni circostanza e su qualunque argomento, e una tazza di tè con uno scone non manca mai. Di pomeriggio. Alla sera è una pinta di Guinness quella che si beve in compagnia in uno dei due pub dell’isola, dove se anche sei solo, non ti senti solo. 
E’ una cordialità contagiosa, quella isolana.
E quando incroci qualcuno più di un paio di volte, si è già diventati migliori amici e si inizia a parlare di tutto, dal tempo all’oceano, dalla politica ai pettegolezzi, dalla tua vita alla mia vita.
E’ un’isola da assaporare lentamente e in solitudine. Certo si può noleggiare una bici, ma le stradine sterrate sono tutte un saliscendi e la pedalata spesso diventa molto impegnativa; ma soprattutto in bici non si possono seguire i tondi rossi, e non farlo sarebbe un gran peccato.
Quando si arriva al cospetto dell’oceano, i sentieri e i campi finiscono e iniziano le rocce. E sulle rocce ci sono i tondi rossi, quelli che se li segui ti senti sicura, con una meta e una strada, un esploratore alla scoperta di un mondo per te nuovo ma antichissimo e pieno di bellezze e di pace.
Ho camminato quasi tutta questa piccola isola, che è più grande di quanto ti aspetti o t’immagini, e più varia e più ricca; e ho guardato l’oceano, e ne ho respirato l’energia e la forza, per poterci attingere ancora una volta tornata alla mia casa vera.
E’ un’isola da camminare tutta, Inis Oirr, percorrendo passo dopo passo i sentierini tratteggiati da centinaia di muretti di pietra che dividono tanti piccoli terreni dove pascolano placide mucche, qualche cavallo e poche pecore, attraverso un paesaggio che cambia in continuazione, dove è facile avere la sensazione d’essersi persi, ma basta guardarsi in giro per ritrovare il faro, o il relitto della Plassey, le imponenti scogliere di Moher sulla terraferma, la lunga costa esposta all’oceano, la spiaggia riparata, il lato che affaccia su Inish Meain e che guarda a Ovest e all’oceano aperto, e quindi ritrovare il proprio posto sull’isola, ma anche nel mondo e dentro di sé.
E’ un’isola da meditazione, Inis Oirr.
Questa è un’isola di mare e pietre, di grigio e blu, di pochi fiori selvatici e nessun albero. Un’isola dagli acquazzoni brevi e violenti e dalle lunghe giornate di sole, circondata dall’oceano che sembra tanto mite e tranquillo quando lo guardi dagli scogli ma che non lo è altrettanto quando lo navighi in traghetto.
O forse è l’isola che non ti lascia partire volentieri, che non vuole spezzare  l’incantesimo. Magari l’isola voleva tenermi là. E io avrei voluto restare.

Alla scoperta di Terre Nuove - parte 4 di 4

Dopo l'entusiasmo per gli iceberg , la meraviglia del Gros Morne NP , la visita di siti archeologici e l' esplorazione del nord  che...