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St Kilda, o dell'isolamento

Santa Kilda tu non esisti. Il tuo nome è solo un sussurro del popolo degli uccelli che vive su un paio di alte rocce all’estremità del regno, al largo delle Ebridi esterne. Si può osare la traversata fin lì solo quando il vento soffia da nord-est” 



Questa mattina ho ripensato a quando sono stata a St. Kilda.
Come molti luoghi remoti, come molte isole lontane e poco accessibili, ha una dimensione reale, una storia, dei fatti, e poi anche una straordinaria valenza simbolica, metaforica, che accende l'immaginazione.

Nella sua dimensione reale l'arcipelago di St. Kilda non è un luogo particolarmente segreto, anzi tra i luoghi remoti è piuttosto famoso, doppio patrimonio Unesco, culturale e naturalistico, (Unesco sites) sparpagliato nell'Atlantico a 40 miglia a est dalla costa delle Ebridi Esterne (Scozia), con l'isola principale, Hirta, evacuata dal 1930. Il nome "Hirta" potrebbe rimandare a un termine celtico per indicare pericoloso, mortale, e pensando alla storia dell’isola non pare inadatto. Le altre isole dell’arcipelago che hanno un nome sono Dun (che in gaelico vuol dire fortezza o castello), Soay e Boreray (e gli isolotti Stac an Armin, Stac Lee e Levenish) e sono tutte cime di un’unico vulcano sottomarino, esposte nel corso dei millenni a glaciazioni e intemperie, e modellate dalle tempeste e dall'oceano nelle attuali ripidissime e spettacolari coste.


Pare che Hirta, con una superficie di poco più di 6 kmq2, sia stata abitata continuativamente sin dall'età del bronzo (*); nell’Ottocento ci vivevano una settantina di persone, dopo che un’epidemia di colera e vaiolo ne aveva ridotto il già esiguo numero, che si cibavano prevalentemente di uccelli, usati per tutto, compreso il baratto; l'agricoltura era praticamente impossibile, a parte qualche patata; un esploratore del Settecento, Martin Martin, aveva descritto gli abitanti come molto felici in quanto liberi, e credo che in loro avesse trovato il suo "buon selvaggio".
Gli isolani pagavano in natura un affitto ai proprietari (i MacLeod di Dunvegan su Skye), avevano tutto in comune, tranne le pecore (e immagino i coniugi) e si suddividevano tutti i lavori da svolgere. Era una comunità primitiva, molto coesa e con una struttura sociale molto semplice.
Alla fine dell’Ottocento iniziò però l’inarrestabile declino che culminò con l’evacuazione, principalmente per due ragioni: l’arrivo dei primi visitatori che rese necessaria una modernizzazione (ad esempio l’apertura di un post office) insostenibile per l’isola, e un’opera di evangelizzazione così massiccia, e di successo, da distogliere i già pochi abitanti dalla enorme mole di lavoro necessario per poter sopravvivere in un ambiente così ostile e soggetto alle variabilità e agli eccessi del clima. All’inizio del Novecento le cose si misero a peggiorare rapidamente: la popolazione cominciò a patire la fame e l’isola fu anche bombardata durante la Prima Guerra Mondiale nel tentativo di distruggere un ripetitore; dopo la guerra sull’isola erano rimasti solo anziani e bambini in condizioni ormai disperate, finché venne decisa e praticamente imposta l’evacuazione agli ultimi 36 abitanti, il 29 agosto 1930.
Gli isolani più anziani non riuscirono mai ad adattarsi alla vita sulla terraferma, così sideralmente diversa dalla loro, che non usavano moneta, non avevano acqua corrente e non avevano neanche mai visto un albero.
Un accadimento probabilmente inevitabile e necessario, ma straziante. 
Quando me li immagino, coi vestiti nuovi che gli aveva procurato per l'occasione la moglie del pastore, salire sulla barca che li avrebbe portati per sempre via dal loro mondo, mi commuovo, e penso a quante altre volte è successo, e continua a succedere, ad altri popoli, ad altre comunità, ad altre persone.
Nel 1956 St. Kilda è stata lasciata in eredità al National Trust scozzese dal 5° Marchese di Bute, un ornitologo.
Nel 1957 è stata costruita la base militare per il tracciamento radar dei missili che c’è ancora oggi, ed è abitata tutto l’anno. Durante i mesi estivi sull'isola, che adesso è una specie di laboratorio scientifico a cielo aperto, vivono anche i volontari del National Trust per restaurare gli edifici e conservare e studiare la flora e la fauna.
Per 50 anni sull'isola c'è stato un pub, The Puff Inn, con un grande murale di un puffin su una parete, che offriva stuzzichini, musica dal vivo, calda ospitalità, vita sociale e bevande molto economiche, non poteva infatti fare profitti e quindi le vendeva al costo, e che in tempi recenti era frequentato solo dal personale della base militare e del National Trust, essendo stato chiuso ai turisti nel 2005, ed è stato poi chiuso definitivamente nel 2019 per far posto ad un altro edificio legato alla base militare. Sulle pareti, raccontano, c'erano note dei generi più svariati, compreso il tempo impiegato a scalare la scarpata di fronte alla Village Bay, nudi e portando un'asse da stiro sulla schiena.

L’isolamento ha fatto sì che l'ecosistema sia rimasto intatto per migliaia di anni, le isole sono quindi dimora di alcune varietà di piante e licheni molto rare e di animali unici: lo scricciolo di St. Kilda, un grosso topo di campagna dalla lunga coda, e le pecore Soay, dalla lana di colore scuro, che sono cambiate molto poco rispetto a quelle dell’età della pietra, e che sono oggetto di un progetto di studio delle Università di Edimburgo e dell'Imperial College di Londra, il St Kilda Soay Sheep Project e qui si possono vedere foto e seguire gli aggiornamenti 


Le altissime e meravigliose scogliere a picco sul mare sono dimora di grandi colonie di puffin/pulcinelle di mare, gannet/sule (qui c’è la colonia più grande del mondo con circa il 40% di tutte le sule esistenti) e fulmar/procellarie e queste colonie di uccelli hanno tratto enorme vantaggio dall'evacuazione delle persone, attualmente con 330.000 coppie che si riproducono di 17 specie diverse si tratta di una delle più ampie concentrazioni di uccelli del Nord Atlantico.
Nel villaggio, affacciato sulla riparata Village Bay, sul lato a sud-est dell'isola, ci sono la strada principale, la chiesa, le abitazioni e la scuola e tutto intorno decine di piccoli magazzini di pietra col tetto di erba detti cleit, c’è anche un piccolo cimitero.















Il terreno è brullo e sconnesso e c’è un'unica strada che, come una cicatrice nel paesaggio, collega la base militare alla baia, e non è facile raggiungere le coste marcate da profonde insenature, con canaloni, picchi improvvisi, rocce, scarpate e strapiombi; ci sono anche i relitti di due aerei schiantatisi durante la Seconda Guerra Mondiale.

Soay e Boreray non sono mai state abitate e sono caratterizzate da ripidissimi faraglioni (quelli di Boreray sono i più alti della Gran Bretagna) sui quali gli isolani si arrampicavano con grande abilità, e sprezzo del pericolo, per andare a caccia dei numerosissimi nidi di uccelli. Ora ci vivono le pecore allo stato brado.
Nelle acque dell'arcipelago ci sono foche grigie, balenottere, orche, focene, delfini e squaletti.




Ancora oggi St. Kilda è un luogo non banale da raggiungere, la Natura, la geografia e il meteo hanno ancora la meglio sui mezzi di trasporto, e capita che resti isolata anche per settimane di fila; ogni anno riceve circa 1500-2000 visitatori.
Se il mare lo permette, ci vogliono 3/4 ore su un barchino in mezzo all'oceano, e per chi soffre il mal di mare non è una passeggiata. Le escursioni, da Aprile a Settembre, partono da Leverburgh su Harris con Kilda Cruises e con Sea Harris, da Barra con Hebridean Sea Tours oppure anche da Skye con Go to St. Kilda. Ci sono poi opportunità di volontariato col National Trust e occasionalmente tour fotografici e crociere di più giorni in barca a vela. Si sbarca con un gommone, e anche questo non è sempre scontato, che pure l'approdo non è semplice col fondo marino pieno di rocce, e si resta a terra 4/5 ore, sull’isola non c'è copertura telefonica o di rete, e non ci sono servizi per turisti se non un minuscolo bar per un caffè caldo e il bagno. E’ essenziale prenotare con grande anticipo e avere un po’ di tempo a disposizione, in caso le condizioni meteo siano avverse e l’escursione sia rimandata.

La dimensione simbolica di St. Kilda è ricchissima e affascinante al pari dei suoi meravigliosi e incontaminati paesaggi, con questa storia di isolamento fisico che è stato anche storico, sociale, culturale. Un isolamento che ha caratterizzato lo sviluppo della vita sull'isola fino al punto in cui è diventato anacronistico e insostenibile e ne ha quindi provocato la fine. Ma che ne ha poi permesso la rinascita come laboratorio di studi, come luogo di conservazione e anche come occasione per fare oggi un'esperienza unica, quella di visitare, seppur brevemente, un luogo rimasto immobile nel tempo, non modificato se non in minima parte, dall'uomo, e di ripercorrerne una storia che, se non cadiamo nei tranelli della visione irrealistica e idealizzata del buon selvaggio, ha visto sofferenza, fatica, privazioni, ma anche una comunità necessariamente molto unita, tenuta insieme dall'immensa e caparbia volontà di resistere.

Qui la natura è splendida ma impervia e inospitale, è matrigna, non regala niente. Ci sono istanti di sublime assoluta bellezza, di inimmaginabile silenzio, di forza che urla tanto è potente, ma c'è sempre un prezzo da pagare, qualcosa da dare in cambio, e bisogna fare uno sforzo per conquistare questi attimi.

Ripensando al mio viaggio, e anche a quanto ho sofferto il mal di mare e sono arrivata un po' provata, mi rendo conto che andare a St Kilda non è tanto una gita quanto un vero e proprio viaggio nella storia e nel tempo, è un'esperienza di distanza, di isolamento, di solitudine, di profondissima diversità, di fatica, fragilità e di quanto siamo piccoli e insignificanti di fronte alla maestosità della Natura, ma restituisce quella soddisfazione profonda e piena di quando in qualche modo, stringendo i denti, comunque ce la fai.


Fonti:
Judith Schalansky, Atlante delle isole remote, Bompiani
Hamish Haswell-Smith, Le isole Scozzesi, La Locomotiva
Segnalo anche: 
Life On St Kilda Island, 1910, Film
 



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