E finalmente
si parte, dopo colazione e due chiacchiere - e già mi rendo conto che questa
cosa che sto per fare è un bell’argomento di conversazione.
Poco più di 100
miglia mi separano dalla mia esperienza.
Ma intanto
mi godo la gita attraverso gli Scottish
Borders prima – sulla A702, attraverso la Clyde Valley, belli, rilassanti,
verdi, senza traffico, di farm e paesini e pochi rilievi modesti – e il Dumfries & Galloway, attraversando il
Galloway Forest Park. Mi colpiscono il rigoglio della vegetazione, alberi,
fiori di tutti i colori e siepi, prati verdi sconfinati, ma anche le vallate profonde e inattese.
Attraverso paesini deliziosi e noto che abbondano gli studi di pittura, di ceramiche, di arte varia. Incrocio anche tante auto d’epoca, bellissime, dirette certamente a qualche raduno.
Mentre entro
in Wigtown alla radio passa “Homeward
bound” di Simon & Garfunkel (mia prima grande passione musicale). Non
posso non pensare che sia di ottimo auspicio, e in fondo un po’ mi sento
diretta a casa.
Arrivo
accanto alla libreria senza neanche cercarla, è lì, mi sta aspettando. Sono un
po’ emozionata.
Entro e mi
accoglie George, un volontario del Festival. Cominciano i sorrisi. Mi fa vedere
la libreria, piccolina ma deliziosa, scaffali alti pieni di libri usati, divisi
per settori, narrativa, storia, natura, giardinaggio, cucina, interesse locale,
bimbi e giovani adulti; mi spiega come funziona la contabilità: un registro su
cui annotare il genere di libro venduto e il prezzo, la cassettina degli
incassi e la lavagna da esterno, per invogliare i clienti ad entrare; si
premura di precisare che quando piove, però, non funziona.
Wigtown è la
città scozzese del libro, conta 900 abitanti e una ventina di librerie, tra cui
la più grande, e bellissima, libreria di libri usati di Scozia. Alcune sono
anche sale da te, tavole calde, negozi di varia oggettistica. Praticamente
quasi tutti i negozi a Wigtown vendono anche libri usati. E in autunno c’è il Festival del libro. La maggior parte
delle attività, qui, ruotano intorno ai libri, e questo ha un discreto richiamo
turistico.
Saliamo
a vedere l’appartamento, a un paio di metri di distanza dall’ingresso della
libreria, il percorso casa-lavoro più breve che si possa immaginare. E’ grande
e delizioso, con le finestre a bovindo della sala che affacciano sulla via
principale, e arredato con gusto e calore. Sento che starò molto bene in questo
ambiente così accogliente.
Poi George
mi consegna le chiavi e mi saluta. Ora la libreria è tutta mia. Non vedo l’ora
di iniziare, sistemo in fretta le mie cose, faccio uno spuntino veloce con dei
dolci presi alla Co-op che ho proprio di fronte e poi vado ad aprire.
Posso
iniziare a personalizzarla, ci sono la lavagna e il tavolo all’ingresso sui cui
iniziare a mettere la mia firma. E inizio a girare per gli scaffali e a
guardare i libri, cerco di capire come sono disposti, che libri sono, inizio a
prenderli e guardarli, inizio a farli miei.
Dopo un po’
entra il mio primo cliente, cerca White Shark di Peter Benchley; non
capisco né autore né titolo, e non ho idea di cosa sia. Cominciamo bene, mi
dico. Dopo un po’ di domande e ripetizioni finalmente andiamo a vedere nella
fiction ma non c’è. Ma intanto il ghiaccio è rotto, la via è aperta. Qualche giorno
dopo verrà in libreria suo figlio (in un paesino è un attimo ricostruire le
parentele) e mi darà molta soddisfazione comprando ben due romanzi. Entrerà
ancora qualcuno a curiosare, ma il primo giorno non vendo nulla, non mi decido
a chiudere ma finisco per capitolare di fronte
alla strada principale che resta deserta.
Penso ai
libri usati. Non li ho mai considerati granché, presa dalle novità e dalla
perfezione intonsa del libro nuovo, ma adesso che per una settimana li ho
toccati, guardati, aperti, spostati, annusati posso dire che il libro usato ha
un gran fascino e tanta energia. E mi fa pensare che i libri non sono fatti per
fermarsi, ma devono andare, cambiare di mano, scegliersi nuovi lettori.