Di recente
sono andata a vedere case.
Non so se ho un progetto, un sogno o un’illusione, o
solo tempo da impiegare, ma intanto sono andata.
Un pullman,
un aereo, 350 Km in auto, una sosta per la notte a metà strada (e lo stesso al
ritorno, ma senza la sosta e con un inatteso passaggio al posto del pullman)
per vedere 11 case in due giorni.
Intenso.
Da tutti i punti
di vista. Perché vedere case non è solo vedere case. Qui non sono gli agenti
immobiliari ad accompagnarti, ma sono i padroni che ti accolgono così vedere
case diventa entrare nella vita delle persone, ascoltarne le storie, vederne le
tracce negli oggetti, nelle presenze e nelle assenze. Accanto alla storia di
chi cerca una casa per innamorarsene e viverci un pezzo di vita, c’è quella di chi quella
stessa casa la vuole lasciare, per seguire il suo sogno o per allontanarsi da
ricordi pesanti o mille altre ragioni.
Storie.
Vedere case è come leggere un libro o vedere un film.
Le mie 11
case sono state tutte particolari, interessanti, e tutte mi hanno raccontato una storia. Io a mia volta ho raccontato la mia e ad ogni racconto, di fronte a una bella vista e con una tazza di tè in mano, l’ho capita un po’
meglio.
Prima delle
storie, prima dell’immaginarsi lì, prima di vedere se la casa ha tutto quello che spero
abbia, c’è l’aspetto grottesco: io ho paura dei cani e quindi l’ingresso
in ognuna di queste 11 case ha avuto momenti di preoccupazione, imbarazzo,
titubanza e infine sollievo. Ero abbastanza ridicola mentre, restia ad
abbandonare la sicurezza dell’auto e attenta agli indizi - ciotole ad esempio –
cercavo di attirare l’attenzione del proprietario e ottenerne rassicurazione. Nessuna
muta di dobermann ad attendermi sul vialetto d’ingresso, comunque.
La prima casa che vedo è
bella perché è la prima. Sono davvero qui, a vedere una casa, che forse,
magari, un giorno potrebbe diventare mia. E non è solo la casa, è il desiderio
di una vita diversa, molto diversa, in una fase della vita in cui molti
rinunciano al cambiamento, tirano i remi in barca e consolidano ciò che hanno. Io invece immagino nuove rotte e nuove navigazioni.
Il progetto
(o sogno, o illusione) è ampio e vago, la casa invece deve avere alcuni punti
fermi: essere indipendente, avere la vista sul mare, il giardino e la porta sul
retro. Queste sono le caratteristiche irrinunciabili, tutto il resto è
negoziabile.
Ma torniamo
alle storie.
Una è una
storia di abbandoni. Questa casa affaccia su una lunga spiaggia bellissima, di
sabbia dorata; la presidia dall’alto, ne vede le maree e i cambi di luce,
ascolta il rumore delle onde e delle tempeste, da una posizione sicura, apparentemente, ma cosa
ne saprò mai io, cittadina così poco abituata ai ritmi e alle forze della
natura?
E’ una casa dei primi anni del secolo scorso. E’ stata abitata e immagino la fatica e le difficoltà di quando questo era un posto davvero remoto (lo è anche oggi), freddo, inospitale, battuto dal vento. Ma immagino anche le risate dei bimbi che corrono sulla spiaggia e giocano con le onde. Poi questi bimbi sono cresciuti e sono andati a cercare la loro strada altrove, i vecchi se ne sono andati anche loro, la casa ha subito qualcosa, un incendio o chissachè, per un po’ è stata seguita, è stata data in affitto a turisti incantati dalla vista ma è stata a poco a poco abbandonata.
I segni dell'incuria sono ovunque, negli infissi cadenti, nelle crepe nei muri, nel linoleum che si alza per l’umidità.
Ora spera che qualcuno si innamori di lei, ne curi le numerose ferite e le dia una nuova vita. Chi mi accompagna - non il proprietario lontano, ma chi se ne prende cura, per quanto possibile - ha fatto la scelta opposta, dopo aver studiato veterinaria in città è tornata qui, dove ha radici e storia e la voglia di continuare a farle crescere ed è davvero amareggiata a vedere questa rovina.
Contempliamo
questa bellezza, ci rattristiamo per quanto è perduto e, immaginando nuovi
scenari, io riprendo la stradina per la prossima visita.
Questa casa
ha invece una storia che non mi convince, forse non è del tutto vera o forse
non si adatta bene alle mie aspettative, forse non è tutta la storia, ma insomma non mi
torna. E’ in un posto molto remoto, ci si arriva dopo diversi chilometri di
nulla, sulla via che porta a un faro, per intenderci, affacciata sul mare ma
protetta dal fianco della collina. La abita una giovane coppia, vivaci,
esuberanti, affiatati. E’ molto bella e accogliente, curata, parla di amore e
condivisione.
Ma non è finita; le stanze al piano di sopra sono vuote, il bagno
in costruzione. Eppure i padroni di casa mi dicono che la vogliono vendere per affrontare
una nuova sfida, per cominciare un nuovo progetto, per avere nuovi stimoli. Ma
come, questa neppure è finita! Perché abbandonarla così? Perché cancellare
tanta cura e tanta attenzione? Perché tanto entusiasmo ma anche tanta voglia di
andarsene? Queste domande sono rimaste senza risposta, non sarebbe stato
educato chiedere di più. Come un libro col finale aperto, e tutte le ipotesi
possibili.
Un’altra ancora
mi ha fatto tanta tenerezza, e anche malinconia.
E’ la casa di due persone
anziane. Una casa molto amata, molto curata, che parla di una vita insieme, di
figli e nipoti, di giardinaggio e crostate e Natale come occasione per ritrovarsi tutti. Una casa che di sicuro ha molto da raccontare
e molte cose belle. Ma adesso non possono più continuare a vivere lì. Sono
lontani da tutti, dalla famiglia, dall’ospedale, e entrambi hanno già dovuto
essere ricoverati, di recente. Devono avvicinarsi, devono essere protetti, e
per fare questo devono lasciare la casa di una vita e tutti i suoi ricordi.